Riprendiamoci la Radio! Alessio Bertallot ci racconta la sua web radio Casa Bertallot
Stefano Chiarazzo

casa-bertallot

Settimana scorsa Fabio Bruno ci ha raccontato il primo Web Radio Camp che si è tenuto quest’estate a Messina. Tra i relatori Alessio Bertallot che ha aperto le porte di Casa Bertallot raccontando gioie e dolori di un progetto unico nel panorama italiano che abbiamo citato più volte anche alla Social Media Week. Oltre ad ascoltare l’intero intervento vi invito a leggere questa mia chiacchierata con Alessio che ho avuto il piacere di intervistare per Wired.

Sei da sempre un innovatore. Prima in ambito musicale e radiofonico, ora sul web con il tuo radioshow online “Casa Bertallot”. Cosa ti ha spinto ad affrontare questa nuova sfida e quali sono i primi risultati?

La reazione ad una prepotenza: quella della Rai, che prima si impegna e poi cambia le carte in tavola astutamente a 4 giorni dall’inizio della nuova stagione [n.d.r vedi chiusura del programma RaiTunes]. Un vecchio trucco per aspettare che i leali collaboratori non abbiano alternative e così poterli pugnalare alle spalle con tutta tranquillità. Non ho accettato il ricatto e mi sono piuttosto fatto la radio da casa. I risultati? Sono molto più al centro dell’attenzione ora che faccio la radio da casa mia che quando la facevo dalla radio nazionale.

Stampa

Sul tuo sito definisci Casa Bertallot come un “format nuovo, rivoluzionario e crossmediale, lontano dalla radio come l’abbiamo conosciuta”. Ci racconti tre caratteristiche che lo rendono innovativo?

Fare la radio da casa in diretta online sul web è un modo dove intimo e pubblico si fondono e forse inventa un linguaggio moderno perché attraverso un medium nuovo. È una radio crossmediale. Indipendente anche nella distribuzione , non solo nei contenuti. Qualcosa di simile all’innovazione dell’avvento dei Blog. “Riprendiamoci la radio”: negli anni ‘80, quando questo territorio era nuovo, chi faceva radio era innovativo e aveva spazi di libertà e creatività. Ora tutto è standardizzato e asfittico. Bisogna spostarsi da un’altra parte, dove c’è ancora spazio. Fare reset, rimescolare il mazzo e giocare una nuova partita. Torneranno idee ed entusiasmo. Oggi il solo resistere alla deriva culturale, rifiutare i troppi compromessi, mantenersi coerenti e onesti è un atto rivoluzionario.

Al di là della rete di syndication che ti supporta trasmetti principalmente tramite Spreaker, uno strumento che permette a tutti di realizzare una propria radio indipendente e autonoma. Quali sono i suoi punti di forza e di debolezza?

L’approccio molto user friendly della piattaforma è un punto di forza: voglio fare radio e con spreaker trovo qualcuno, italiano, che mi spiana la strada. Il difetto, che non è un difetto solo di Spreaker, è che fare radio richiede una cultura di produzione e di autorialità che la facilità dei nuovi media tende a fare dimenticare: non basta aprire un microfono per fare radio.

Hai messo in piedi una strategia social molto articolata che coinvolge Facebook, Twitter, YouTube, Google+, SoundCloud e Spotify. Quale ritieni sia il contributo delle differenti piattaforme al successo del tuo programma?

Difficile valutarlo bene. Considerare solo i numeri non mi sembra sufficiente per capire la vera portata di questo tipo di comunicazione che forse sta piuttosto nel modo, nel linguaggio, nella web credibility che si genera in rete. Dobbiamo fare i conti con un nuovo tipo di riverbero sociale o social che viaggia alla velocità della luce lungo linee digitali e a volte si moltiplica, a volte si esaurisce in un attimo. Io ho la sensazione che la consapevolezza che abbiamo del paese sia rimasta in piedi solo una facciata puntellata dai vecchi media e che quando, per motivi generazionali, verrà giù rivelerà un paese totalmente diverso e mai descritto. Non necessariamente migliore. Ma è già successo qualcosa, sotto.

Il progetto è finanziato tramite crowdfunding su MusicRaiser, un risultato incredibile anche perché raggiunto in breve tempo. Ci racconti come è andata?

Non mi aspettavo tanta solidarietà: una bandiera innalzata ha mobilitato un esercito emotivo e positivo. Prima di tutto, chi mi ha sostenuto mi ha fatto sentire forte e non perso in una battaglia solitaria. Ecco: forse è questo il paese che è cambiato sotterraneamente e che ancora si tenta di nascondere dietro una facciata puntellata.

Hai lavorato per grandi emittenti nazionali come Radio 105, Radio Deejay e Radio 2. Cosa potrebbero imparare i grandi network da progetti come il tuo e, più in generale, dalle web radio per migliorare la propria presenza in rete?

Non so se le web radio stiano veramente producendo idee nuove e non imitando con mezzi poveri il modello ricco. E Non so se io abbia qualcosa da insegnare alle grandi radio. Sicuramente ho imparato molto. Quello che manca alle grandi radio è quello che manca al paese: il coraggio di credere in cose nuove e l’etica di fare crescere culturalmente il paese. C’è solo un’estetica che ormai è retorica.