Tutelarsi da Twitter o aprirsi al dialogo? Il caso Paola Ferrari
Stefano Chiarazzo

E quindi Paola Ferrari vorrebbe querelare Twitter… Non voglio ripercorrere tutta la faccenda, se n’é parlato pure troppo. In sintesi la giornalista sportiva lamenta che i tweet “hanno preso di mira la donna, non la giornalista”. Il suo attacco non sarebbe pertanto contro la libertà di critica ma contro la libertà d’insulto e di diffamazione, soprattutto anonima.

Ormai commentare sui social le trasmissioni televisive é sport nazionale, da divano ma sempre di sport si parla. Il vecchio baretto si fa più grande, e un tweet ficcante può essere disseminato in rete alla velocità della luce. Retwittato, ripreso dai blog e dai mass media.

IL TELE-SPETTATORE DIVENTA TELE-PARTECIPATORE

Il “telespettatore” che si rimbecillisce bevendosi tutto ciò che si dice é in via di estinzione, ora é più smaliziato, spesso iper-critico e livoroso. Su Facebook e Twitter si lascia andare a frasi ironiche, spesso taglienti e al limite del cartellino giallo. E, come fa notare Federico Mello su Il Fatto Quotidiano, “a chi è nato e cresciuto in epoca di media uno a molti – come la tv – la libertà di Internet non piace proprio”.

Sicuramente concordo con Giampiero Mughini che lamenta l’assenza di “leggi che fissino dei paletti nel web, che temperino questo ardore illimitato a voler colpire sotto la cintura”. Tali leggi dovrebbero far sì che la libertà di opinione non sconfini nella limitazione dei diritti altrui, ma neanche nello scenario dittatoriale ben dipinto da Il Nichilista.

NON SI CRITICA LA PERSONA MA IL PERSONAGGIO

Va però detto che se diventi un personaggio pubblico, devi accettare gioie e dolori senza prenderla eccessivamente sul personale. Centra il punto Davide Bennato: l’attacco non é alla donna Paola Ferrari, ma al personaggio televisivo.

“Quando si prende in giro – anche pesantemente – il VIP televisivo di turno, non ci si rivolge alla persona, ma all’immagine della persona, al simulacro, all’icona. I tweet contenenti la parola “Paola Ferrari” non si rivolgevano alla persona, ma all’icona Paola Ferrari e alle sue specifiche comunicative (la Ferrari è celebre fra i critici televisivi perché si fa riprendere con un enorme fascio di luce bianca avente lo scopo di ridurre le rughe del suo volto: un vezzo che rivela una debolezza perfino tenera)”

Forse quindi, anziché Twitter, la giornalista dovrebbe querelare chi da anni ha costruito la sua immagine a colpi di “spara-flashate”!

DIRITTO DI REPLICA SI’, MA 2.0

Da quanto mi risulta, a meno che mi sbagli e questo qui non sia davvero un fake, Paola Ferrari non é su Twitter.

E allora? La risposta é arrivata come sempre in modalità 1.0, con interviste a Klaus Davi, Corriere e Blogosfere. Sbagliato! Si, perché ne é seguita un’altra ondata di tweet al veleno.

Si lamenta di non avere diritto di replica? Che si trovi un bravo consulente di comunicazione – o si legga a gratis qualche mio consiglioapra un bel profilo Twitter e si dia da fare: rispondendo all’ironia con l’ironia. Certo, come dimostra il caso di Rudy Zerbi, resistere agli attacchi non é semplice. Ma se ci dovesse riuscire si rialzerebbe più forte di prima, e con una credibilità tale che in futuro avrebbe molti meno problemi.

Se no, veda Twitter come uno dei tanti indici di gradimento, riparta dalle critiche, anche le più dure, e riveda la sua professionalità. Con estrema umiltà, pensando che se é dove é lo deve a quel pubblico che prima l’amava, oggi un po’ meno. Silvio De Rossi su Blogosfere spiega bene il pensiero della rete:

“Siamo stufi di sentire puzza di casta. Siamo stanchi di ascoltare i piagnistei dei giornalisti tricolore che chiedono di essere tutelati sui social network. Si facciano rispettare. Conquistino il pubblico. Dimostrino le loro qualità. Perché su internet uno bravo vince sempre. Uno scarso è fottuto”