Data Driven Company: 3 nuove sfide per i leader aziendali
Stefano Chiarazzo
Le 3 anime del Social Ceo

Già nel 2017 The Economist aveva titolato:

La risorsa più preziosa del mondo non è più il petrolio, sono i dati

Rispetto al petrolio, i dati sono una risorsa potenzialmente inesauribile che tutte le organizzazioni possono sfruttare, ma che devono imparare a raccogliere e trattare con cura avvalendosi delle adeguate competenze, tecnologie e processi. Questo il tema portante del terzo appuntamento della Digital Arena di Hack@MI, moderata da Alberto Maestri, direttore della collana “Professioni Digitali” di FrancoAngeli di cui fa parte anche il mio libro Social Ceo.

Disegnare e applicare strategie “data driven” porta le aziende ad essere più flessibili e veloci, come spiegato da Nico Spadoni, Agile Coach @ Enel e autore di “Agilità”. Adottare architetture e tecnologie “data centric” permette di abilitare nuovi modelli di business, nuove user experience e persino nuovi ecosistemi industriali in grado scambiare e integrare dati come il servizio digitale di Open Banking integrato con il mondo più tradizionale delle banche, raccontato dal CIO di Illimity Filipe Teixeira. Nell’esperienza di Aldo Razzino, Managing Director di Open Search Network, tali opportunità stanno facendo crescere il valore del recruiting di profili Science, Technology, Engineering and Mathematics (STEM) che garantiscano un adeguato mix nel middle management di competenze scientifico-tecnologiche a supporto del business.

Lo scandalo Cambridge Analytica ha contribuito a dare maggiore consapevolezza dell’importanza di una “cultura del dato” come fattore chiave di successo per il proprio business, fondata su un’etica professionale che salvaguardi la riservatezza e la sicurezza dei dati dei cittadini nonché la trasparenza sull’utilizzo che ne verrà fatto e il diritto dei singoli di fornire espresso consenso. I manager sono i veri motori e promotori di questo processo, all’interno di quelle che a mio parere sono le tre anime del leader aziendale.

LEADER COME BRAND BUILDER

Costruire una marca solida oggi non può prescindere dalla consapevole decisione dei manager di attuare investimenti in competenze, tecnologie e software nonché di abilitare processi agili e flessibili per decidere e agire velocemente e in maniera efficace ed efficiente. Dati di performance propria e dei concorrenti; dati sui trend di settore; dati sui bisogni, comportamenti e stili di vita. Sempre più aziende si dotano di una squadra di Business Intelligence multifunzionale che raccolga, pulisca, incroci, analizzi e interpreti dati provenienti da molteplici fonti diverse. Un grande sforzo che porta i suoi frutti solo attraverso la cosiddetta “democratizzazione del dato”. Le informazioni, cioè, vanno rese accessibili, facilmente leggibili (utile in questo la rappresentazione visuale) e ove possibile gestibili in ottica partecipativa ai manager di tutte le funzioni aziendali per prendere decisioni di business (prodotti e servizi sempre migliori in termini di esperienza e soddisfazione dei bisogni) e di comunicazione (owned, paid, earned, social). In un contesto dove programmare diventa sempre più difficile, eseguire e condividere analisi diagnostiche e predittive il più possibile in real time diventa poi un fattore competitivo determinante. Una sfida che è più facile cogliere investendo in tecnologie di Intelligenza Artificiale (AI) & Machine Learning (ML), integrando le API delle piattaforme digitali proprie e di terze parti e sfruttando al meglio le sinergie offerte dall’Internet delle Cose (IOT).

LEADER COME BRAND ADVOCATE

La reputazione è business. Una buona reputazione aziendale fa vendere di più, attrae investimenti, fa crescere la quotazione in borsa, agevola le relazioni nel mercato del lavoro, fa aumentare le donazioni ad associazioni senza scopo di lucro, fa raccogliere più voti, fa predisporre meglio i cittadini verso una pubblica amministrazione. E la reputazione dell’organizzazione è legata a doppio filo con quella dei suoi manager. Migliore è la reputazione dei manager, più i loro stakeholder interni ed esterni saranno disposti a supportare la realtà che guidano. Monitorare in maniera costante la reputazione dell’azienda e dei suoi manager all’interno delle differenti comunità fisiche e digitali con cui interagiscono permette di valutare il cosiddetto “capitale reputazionale”, vero e proprio asset aziendale, e di prevedere future variazioni del business aziendale. Mai sottovalutare, dunque, l’andamento di metriche di comunicazione come volume e sentiment delle ricerche su Google, delle menzioni sui media digitali, delle recensioni sui siti di e-commerce e delle conversazioni sui social media.

LEADER COME BRAND GUARDIAN

Impegnarsi nella costruzione di una identità di marca forte è determinante, ma lo è altrettanto operare costantemente per la difesa della sua immagine e reputazione. Una crisi reputazionale può infatti impattare fortemente sulla fiducia nella capacità dell’azienda e del suo management di produrre benessere per i propri stakeholder. Un drastico calo della reputazione può arrecare all’azienda due differenti danni patrimoniali: diminuzione delle entrate economiche (lucro cessante) e riduzione del reddito a causa della necessità di affrontare maggiori costi (danno emergente). Se i dati ci aiutano a intercettare per tempo possibili problematiche, possono essere loro stessi causa di rischi economici, legali e reputazionali. Investire sulla cybersecurity è dunque una scelta oggi imprescindibile, che permette di salvaguardare la sicurezza delle informazioni e proteggere la privacy dei dati personali di tutti gli stakeholder rendendosi meno vulnerabili ad eventuali attacchi.

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